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onirica.parabola
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Inserito il - 08/07/2006 : 05:21:50
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Mi scuso per la lunghezza dell'articolo ma è interessante il nuovo dibattito che sta sorgendo in giurisprudenza abbiate pazienza ...e se potete leggetelo...anche a puntate ...ho cercato di abbreviarlo! ( per Anima ) onirica
Quale famiglia oggi?
di Alfredo Carlo Moro (giurista, presidente del Centro nazionale di documentazione dell’infanzia) Non serve irrigidirsi nei veti. Nemmeno arroccarsi nella difesa strenua di tradizionali modelli. Converrebbe elaborare progetti convincenti, avendo come obiettivo la piena valorizzazione dell’istituto familiare nella società. È particolarmente accesa nel nostro Paese la polemica su quale nucleo, in cui più persone fanno vita comune, possa definirsi "famiglia": lo scontro si è venuto progressivamente caricando di forti connotazioni ideologiche e la contrapposizione che ne è derivata ha finito con il paralizzare il legislatore e quindi con il rendere sempre più flebile la possibilità di sviluppare anche in Italia un’effettiva politica per la famiglia. In realtà è sempre stato assai difficile pervenire ad un’unica definizione di famiglia, data la vasta gamma di forme sociali primarie che presentano strutture relazionali assai diversificate e dato che il senso, le strutture e le funzioni empiriche attribuite alle tipologie familiari variano secondo i tipi di società in cui sono inserite e della evoluzione della stessa società. Anche il diritto – che nasce nella società e ne recepisce inevitabilmente i valori, le concezioni correnti, talvolta i pregiudizi presenti nella cultura della propria epoca e traduce tutto ciò in formule giuridiche – ha finito con il modellare l’istituto familiare sulla base delle esigenze particolari della società del tempo e sulle concezioni, e alcune volte le ambivalenze e le ambiguità, esistenti nella cultura e nel costume. Così, in passato, in una società organizzata essenzialmente come società di famiglie, il diritto prevedeva solo interventi marginali nei confronti della struttura familiare lasciata alla regolamentazione privata o alla regolamentazione ecclesiastica: la famiglia più che soggetta alla legge era datrice essa stessa di leggi. Ma nel momento in cui si è cercato di rafforzare lo Stato, sulla base del primato dell’autorità centrale, la famiglia è divenuta una struttura portante dello Stato stesso, ma alla condizione che si adeguasse alla legge autoritaria e gerarchica propria della società del tempo. Le relazioni interpersonali all’interno del nucleo familiare venivano perciò disciplinate dal diritto tenendo scarsissimo conto delle esigenze delle persone e privilegiando esclusivamente le esigenze sociali: al capo famiglia venivano riconosciuti poteri analoghi a quelli accentrati nelle mani del princeps; la dipendenza del figlio dal padre era mantenuta fino a tarda età attraverso la dilatazione della patria potestà, fino a trent’anni per l’uomo e a quaranta per la donna; la scelta matrimoniale e anche quella professionale erano subordinate al consenso paterno e ogni pretesa di autonomia della persona singola veniva stroncata attraverso la diseredazione o la chiusura della donna nel chiostro; il diritto accordato al capo famiglia di battitura e di correzione veniva ampiamente riconosciuto sia nei confronti della moglie che nei confronti dei figli, soggetti tutti ritenuti bisognosi di una forte guida rispettivamente per l’imbecillitas sexus o l’imbecillitas aetatis. Quando poi gli aspetti patrimonialistici divenivano, nella società, particolarmente rilevanti, la famiglia è stata vista, e disciplinata dal diritto, prevalentemente come una unità patrimoniale che doveva essere preservata a ogni costo e la solidarietà familiare si risolveva nella mera tutela patrimoniale del nucleo a cui andavano sacrificati i diritti dei singoli. Quando infine, nel periodo fascista, l’esigenza predominante fu quella di piegare le libertà individuali agli interessi politici e sociali della nazione, anche la famiglia fu fortemente riconosciuta come istituzione, ma anche strumentalizzata alle esigenze pubbliche: basti pensare alla legislazione per favorire i matrimoni (la tassa sul celibato) o l’incremento demografico (le leggi che favorivano la procreazione) o la legislazione razziale che, impedendo i matrimoni fra un ariano e un appartenente ad altra razza, privilegiava la ragion di Stato a tutto danno dei diritti degli individui di costituire liberamente un proprio nucleo familiare. Il nucleo familiare è quindi connotato sulla base non solo della realtà sociale mutevole, ma anche delle necessità particolarmente sentite in un contesto storico, e il diritto finisce con il recepire le realtà fenomeniche che si vanno formando nella società e a ratificarne le tendenze prevalenti. Inoltre il diritto non può disinteressarsi – per perseguire un sia pur commendevole obiettivo pedagogico – della fragilità, delle insufficienze o limitazioni delle persone e delle relazioni interpersonali, che comunque esigono una regolamentazione. Alcune coordinate che – fino a qualche anno fa – individuavano la realtà familiare sono state messe in crisi dall’evoluzione dei tempi: non è il caso di arroccarsi su giudizi di valore, ma solo di riflettere sulla situazione reale da cui non si può prescindere. Si possono, quindi, sottolineare alcune variazioni significative. La dissolubilità del matrimonio e il principio legittimante l’adozione hanno modificato profondamente le caratteristiche della vita familiare creando, però, al medesimo tempo, grande confusione sulle situazioni più diverse.
Di conseguenza l’ordinamento ha finito con il relegare le figure parentali in ruoli e funzioni di mera supplenza, non privilegiando in alcun modo la relazione personale
Ma, anche se il rapporto coniugale non esiste più, continuano a rimanere integri i rapporti tra i genitori e i figli, e anzi opportunamente si cerca di ribadire che con lo scioglimento del matrimonio non vengono meno né le relazioni né i diritti e i doveri connessi con la funzione genitoriale anche per il genitore che non abbia in affidamento il figlio e non continui così ad avere quotidianamente con lui una vita in comune. Se pertanto il coniugio non esiste più, la famiglia non si estingue qualora vi siano dei figli e i legami familiari continuano ad essere pienamente operanti. ****************** Con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’adozione, il temine "figlio di" non è più sinonimo di "nato da" e la genitorialità nell’affetto è divenuta non meno rilevante della genitorialità biologica. Il che significa non solo che legami familiari naturali possano essere posti nel nulla, ma anche che nuovi rapporti familiari e genitoriali possono costituirsi con soggetti che non sono stati fisicamente generati da coloro che pure divengono i suoi genitori.
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Va sottolineato che come famiglia deve considerarsi a tutti gli effetti anche quel nucleo familiare in cui una persona sola, e non una coppia, adotti un bambino. È certamente un caso eccezionale ma non infrequente. L’ordinamento giuridico infatti – preoccupandosi di tutelare il diritto a una famiglia del bambino in situazione di grave difficoltà per le trascuratezze o l’abbandono da parte del o dei suoi genitori biologici – consente l’adozione anche da parte di una persona sola quando vi sia «la constatata impossibilità di affidamento preadottivo» (art. 44, lett. c, della legge 4 maggio 1983, n. 184): si tratta di una impossibilità di fatto, non giuridica, e legata o alle condizioni del minore (malattia o handicap) che hanno reso non praticabile l’inserimento in una famiglia normocostituita o di un legame già preesistente tra il bambino e la persona a cui è stato affidato, per cui, come riconosce la giurisprudenza, diviene impraticabile l’affidamento preadottivo per il forzoso distacco dall’affidatario, che potrebbe «con ogni presumibile certezza provocare al minore seri traumi psichici a causa della profondità dei vincoli affettivi consolidati» (App., sez. min., Salerno 25 gennaio 1985). Sono non solo i casi degli affidamento-abusi, ma anche quelli in cui un regolare affidamento temporaneo è stato effettuato a una persona sola e la speranza di recuperare la famiglia di origine si è rivelata vana e ulteriormente aggravata. *******************************. Una politica familiare che non si limiti a guardare alla famiglia solo come un soggetto che deve essere aiutato dalla mano pubblica, quando non riesce ad affrontare e risolvere le sue difficoltà, o a considerare la famiglia come una realtà bisognosa di assistenza sistematica, ma solo per via della presenza in essa di membri strutturalmente deboli dal punto di vista sociale come le donne, i bambini, gli anziani. Le politiche familiari non possono identificarsi con le politiche di emancipazione dei soggetti deboli della famiglia. Una corretta politica per la famiglia deve riconoscerla come soggetto sociale: il che non significa incrementare gli aiuti assistenziali alla famiglia e aumentarne i diritti da rivendicare. Implica invece un più significativo riconoscimento del valore sociale della famiglia per le funzioni di solidarietà e reciprocità che essa svolge; comporta il non rendere più difficili e meno convenienti i comportamenti di solidarietà familiare nei confronti dei comportamenti più egoistici di chi non assume obbligazioni familiari; esige corresponsabilizzare la famiglia, e le associazioni di famiglie, nello sviluppo complessivo della vita sociale, favorendo la possibilità per la famiglia di agire come soggetto mediatore dei rapporti tra il suo interno e gli ambiti esterni. La piena valorizzazione della famiglia nella società è l’obiettivo primario da perseguire: più che gli arroccamenti difensivi sarebbero indispensabili progetti positivi elaborati e convincenti. Alfredo Carlo Moro *******************************
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Modificato da - onirica.parabola in Data 08/07/2006 05:40:29
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Angelo
AI PIEDI DEL MAESTRO
    
Regione: Piemonte
Prov.: Torino
Città: Torino
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Inserito il - 08/07/2006 : 08:22:21
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Grazie molto importante quanto hai riportato:sarebbe opportuno che si continui a riportare questa tematica ul diritto famigliare,e su la conoscenza dello orientamento giuriprudenziale nella nostra società:dove alcuni valori giuridici sostanziali vengono oggi ribaltati secondo un orientamento dei tempi: Grazie Onirica-parabola. |
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onirica.parabola
...donando un sorriso
    

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Inserito il - 08/07/2006 : 08:37:37
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conosco una collega che ha adottato un bambino " così detto difficile" ...pur essendo per scelta di vita ...non sposata. Sarebbe stato più facile se una famiglia vera l'avesse adottato ...con entrambe le figure genitoriali....ma tutti lo avevano rifiutato.
Basta rederci...forse questi sono i miracoli veri dell'amore!
ops.....scusate ho correto errori....corro in uffico  |
Modificato da - onirica.parabola in data 08/07/2006 08:42:09 |
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Anima
Dio proteggimi
   

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Inserito il - 08/07/2006 : 09:51:05
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Davvero interessante complimenti
La famiglia nel nostro diritto: i suoi parametri sono "costituzionalizati" dagli articoli 29 e seguenti. Si vorrebe che il diritto entrasse il meno possibile nella famiglia che più che altro è retta dal sentimento degli individui che la compongono. Quindi tutte le norme che regolano il rapporto tra i coniugi o il rapporto di filiazione sono regolati dall'autonomia ma anche dalla responsabilità: nel senso è data ampia libertà nel prestare il consenso al matrimonio e alla scelta del coniuge ma da questo sorgono anche diritti e doveri di reciproca assistenza materiale e morale a cui i coniugi non possono sottrarsi. L'introduzione dell'istituto del divorzio e di altri istituti, dopo la riforma del 1975, si è parlato di "fine della famiglia" anche perchè il legislatore aveva equiparato i diritti dei figli naturali, nati fuori dal matrimonio, con quelli dei figli legittimi: come è giusto che sia. L'ultimo barlume del patriarcato che accenni nel tuo post Onirica, cade con l'articolo 29 della costituzione "Il matrimonio si basa sull'eguglianza morale e giuridica dei coniugi" l'altro principio che possiamo definire di recente acquisto nel nostro diritto è la preminenza dei figli (art 30) anche se nati fuori dal matrimonio questo principio è proprio di ogni rapporto di filiazione anche civile,l'adozione. E' per questo motivo che anche quando subentra il divorzio non cessano i doveri e gli oblighi nei confronti dei figli. Riguardo le famiglie di fatto: L'orientamento della giurisprudenza sembra costante nel sancire una netta differenza tra il coniuge e il convivente (sent.Cort.Cost.n. 45 del 1980).Tuttavia la dottina si mostra decisa all'orientamento opposto come Scalise:"come esitono una pruralità di situazioni famigliari,non si dovrebbero ricondurre tutti ad un unico modello di famiglia legittima,bensì si dovrebbero riconoscere una pluralità di modi di atteggiarsi".Il diritto che prende forma dalle relazioni che suggerisce la vita come ricordavi anche tu nel tuo post iniziale. Riguardo le adozioni nel dettaglio mi informo e poi ti rispondo. Grazie.
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L. |
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onirica.parabola
...donando un sorriso
    

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Inserito il - 11/07/2006 : 08:31:40
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Ripartire dalla famiglia
La riscoperta della cittadinanza sociale della famiglia esige oggi un progetto societario complessivo, un pensare in grande che appare sempre più lontano dagli angusti orizzonti del dibattito oggi presente in Italia; non bastano aggiustamenti di piccolo cabotaggio, non bastano lievi interventi di redistribuzione delle risorse economiche, non bastano piccoli aggiustamenti sui congedi parentali o sull’estensione del part-time nel pubblico impiego. Si tratta pur sempre di miglioramenti rispetto ad una situazione di totale dimenticanza e abbandono della famiglia, e come tali potranno essere sostenuti e valorizzati, ma ciò che è veramente necessario oggi è in primo luogo un cambiamento culturale radicale, un punto di vista nuovo, capace di rileggere e ridefinire i termini ultimi del rapporto tra famiglia e società. Occorre definire e rilanciare una nuova relazione tra famiglia e società, che rimetta al centro la famiglia, senza subordinarla agli altri elementi della società, senza considerarla come un dato scontato, cessando finalmente di pensare che la nostra società possa ancora "vivere di rendita" sulla tenuta del tessuto familiare; non si tratta tanto di richiedere interventi di aiuto e di assistenza alla famiglia, quanto piuttosto di relazionarsi a lei in una prospettiva realmente sussidiaria, in cui cioè l’origine dell’agire sociale, delle scelte delle persone, della dinamica societaria siano riportate all’ambito familiare.
Non più una famiglia sussidiaria alla società, stampella e scialuppa di salvataggio nei confronti dei fallimenti di stato e mercato, ma una società sussidiaria alla famiglia, in cui cioè gli interventi di stato, mercato e ogni altro soggetto sociale si muovano con l’obiettivo primario di promuovere e sostenere l’autonomia e la capacità di risposta delle singole famiglie.
Anche nello specifico del rapporto tra famiglia e lavoro emerge, al di là della necessità di interventi su nodi specifici e puntuali (pur necessari), l’assoluta urgenza di adottare un diverso "punto di vista complessivo" rispetto al rapporto tra famiglia e lavoro, capace di riportare al centro la famiglia. In altre parole anche una riflessione empirica, "dal di dentro dei problemi", a partire dai nodi concreti del rapporto famiglia-lavoro (assenza di lavoro, disoccupazione giovanile, il tema dell’abitare, la vivibilità delle città e dei tempi in cui sono organizzati gli ambiti di vita e di lavoro, ecc.), sottolinea la dimensione culturale della sfida oggi in atto: sia che si rifletta in termini generali sul funzionamento della nostra società, sia che si affrontino temi concreti e luoghi specifici dell’agire sociale, emerge l’ineludibile necessità di "ripartire dalla famiglia". Anzi, l’incrocio famiglia - lavoro, più ancora che il rapporto più specifico famiglia - politica sociale, o il più generale famiglia - società, svela nuove valenze culturali della sfida presente e della drammatica competizione oggi in atto, che ha come posta in gioco la libertà.
Nell’incontro - scontro tra famiglia e lavoro entrano infatti in gioco due sfere dell’iniziativa umana in cui la libertà, la libera iniziativa, la possibilità di scelta costituiscono regola ineliminabile; come non può non esserci libertà nell’agire economico delle persone (fatte salve le garanzie a difesa di un sistema sociale capace di coniugare sviluppo e solidarietà, compito questo imprescindibile per le società contemporanee), così la libertà è bisogno essenziale della famiglia, della sfera privata, della definizione dell’identità, della qualità della famiglia e della persona.
Ma cosa succede quando queste due domande radicali di libertà entrano in rotta di collisione, quando la libertà del mondo del lavoro incontra la libertà che esigono le persone e le famiglie? Di fatto, nella società contemporanea, la libertà del sistema produttivo prevarica quella delle sfere individuali, subordinando gli individui all’impersonale e invincibile legge del mercato, del profitto, dello sviluppo.
Si va così verso una società in cui il potere, le regole del gioco, la distribuzione e la gestione delle risorse rimangono definite da un paradigma in cui le persone valgono per quello che fanno, che sanno fare, che sanno produrre, e in cui ogni valutazione e "attribuzione di valore" fa riferimento al codice dello scambio economico.
Né l’intervento pubblico, peraltro essenziale nel contesto contemporaneo, si è dimostrato particolarmente efficace nel contenere questo rischio, e contemporaneamente nel promuovere la libertà di azione delle persone; più spesso il controllo delle libertà di azione economica ha invece costruito nuovi meccanismi di dipendenza, nuove modalità di limitazione della libertà, nuove frammentazioni corporative degli interessi. In ogni caso, l’intervento pubblico non ha saputo rilanciare la risorsa persona, privilegiando invece una logica autoreferenziale di controlli e vincoli.
Non è questa la società a misura d’uomo che sogniamo e che vogliamo creare per noi, per i nostri figli e per i nostri genitori, per le donne e gli uomini di oggi; è invece indispensabile, oggi, ripartire dalla persona, riaffermare la centralità del soggetto, e difendere, sostenere e promuovere la libertà e la dignità delle persone, di ogni persona, anche quando il sistema economico non è in grado di riconoscerle ed attribuirle un valore, o peggio un prezzo, anche quando l’intervento pubblico rafforza diritti ed interessi di gruppi sociali più potenti ai danni di altre categorie, meno tutelate perché meno forti, o meno "dotate di voce". Ma ripartire dalla persona implica ripartire dal luogo originario entro cui si costruisce l’identità del soggetto, da quelle relazioni primarie che fondano la soggettività della persona: dalla famiglia.
Sta qui il radicale cambiamento di prospettiva oggi necessario, la sfida oggi di fronte alla nostra società: scegliere di mettere al centro della società la persona e la famiglia, anziché considerarle funzionali ad un impersonale meccanismo societario più ampio, sia esso centrato sul potere regolativo e limitativo dello stato, sia esso basato sul libero agire delle forze dell’economia; nell’uno e nell’altro caso, comunque, le persone (e quindi le famiglie) vengono solo usate, anziché essere protagoniste della propria storia e del proprio destino. |
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