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Domande frequenti

Recitare Daimoku è una forma di meditazione o qualcosa come “pensiero positivo”?
La recitazione del Daimoku non è né una forma di meditazione né “pensiero positivo” sebbene abbia in sé i benefici effetti di entrambe queste pratiche e molto altro. L’essenza della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo consiste nell’azione stessa di affermare la nostra natura di Budda attraverso la frase che pronunciamo. La meditazione o il “pensiero positivo” non hanno come obiettivo l’ottenimento della Buddità e non è possibile esprimere la propria Buddità con questi mezzi. La meditazione serve a centrare i nostri pensieri ed a rilassarci. Il “pensiero positivo” mira ad ottenere risultati favorevoli grazie ad uno stato positivo della mente. Anche se entrambe queste “tecniche” posseggono un proprio valore, esse da sole non possono cambiare quegli elementi fondamentali della nostra vita cui sono legate la nostra infelicità o le nostre insoddisfazioni; il karma. Tali pratiche non hanno alcuna influenza sul nostro karma.

La meditazione è una pratica più passiva della recitazione del Daimoku; consiste nel calmare la nostra mente grazie alla concentrazione sulla recitazione di un particolare mantra, o su un’immagine. A prima vista ciò può sembrare simile alla pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin, ma in realtà la differenza fra le due è notevole.
La pratica della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo significa per noi esprimere e sperimentare la nostra innata Buddità e rilasciare la potente energia che essa contiene, piuttosto che calmare le nostre menti o sopprimere certe forme di pensiero.

Inoltre, mentre è senz’altro vero che i nostri pensieri divengono più positivi come riflesso del fatto che stiamo recitando Daimoku, tale pratica promuove la nostra Buddità che, a sua volta, influenza in ogni aspetto la nostra esistenza, sia a livello fisico, sia mentale. Recitare Daimoku non è quindi tanto questione di “pensare positivo” o meditare sulle questioni ma piuttosto il conseguimento di un alto stato vitale che influenza naturalmente e positivamente i nostri pensieri.

Sento spesso parlare del “fare esperienza” o ricevere “benefici” dalla pratica buddista. Cosa s'intende?
Nichiren Daishonin ha parlato delle tre prove che occorre verificare per giudicare la validità di un insegnamento; la documentaria, la teorica, la prova concreta.
La prova documentaria significa che le dottrine su cui si basa una particolare setta o scuola deve essere in accordo con gli insegnamenti del suo fondatore. La prova teorica vuol dire che la dottrina in questione è compatibile con la ragione e la logica ed offre una spiegazione convincente della vita così come la sperimentiamo. Infine la prova concreta si riferisce al fatto che gli insegnamenti di tale dottrina si concretizzano in risultati tangibili che scaturiscono dalla messa in pratica dei principi insegnati.
Nichiren Daishonin afferma che la prova concreta è la più importante delle tre e si manifesta solitamente sotto forma di aumentata buona fortuna, protezione e felicità. Questo è ciò cui si riferiscono i membri che parlano di “benefici” o “esperienze”.
Il Buddismo di Nichiren Daishonin insegna che l’aspetto fisico e spirituale della nostra vita sono inseparabili, quindi se il nostro generale stato vitale si eleva, è piuttosto naturale che tale miglioramento si rifletta e possa essere “visibile” su entrambi i piani.

Parlando in termini più ampi, i benefici che ci derivano dalla nostra pratica possono essere essenzialmente di due tipi: cospicui e incospicui. I primi si riferiscono ai miglioramenti rilevabili nelle nostre circostanze quotidiane, per esempio sul lavoro, nel rapporto con amici e parenti. Sperimentiamo allora promozioni professionali, miglioramento della nostra situazione, come l’acquisizione di un privilegio materiale. Sebbene la natura e la portata del beneficio varino da persona a persona, secondo la realtà di ognuno, questi possono viverli correttamente come segni o prove della propria aumentata buona fortuna e metterli in relazione con la loro forte pratica.
E’ tuttavia importante comprendere che i benefici cui i membri fanno riferimento quando raccontano le proprie esperienze, hanno più a che fare con un cambiamento di atteggiamento e la consapevolezza profonda di star manifestando la buona fortuna nella propria esistenza.

Non possiamo sempre comprendere perché abbiamo “meritato” una data fortuna, ma continuando a praticare, iniziamo a cogliere il legame fra la nostra accresciuta saggezza, il maggior coraggio e compassione e la nostra buona fortuna.
Sebbene Nichiren Daishonin incoraggiasse i propri seguaci a recitare per la realizzazione dei desideri, egli ha anche insegnato come porre alla lunga cause inerenti la buona fortuna. In uno dei suoi scritti egli ha definito la buona fortuna come la purificazione dei sei sensi (vista, tatto, gusto, udito, olfatto e mente cosciente, che trae conclusioni dai dati rilevati con i cinque sensi). Si tratta di un altro modo per dire che il beneficio principale della nostra pratica è il graduale innalzamento del nostro stato vitale generale.
Dal momento che tale “purificazione” non è immediatamente visibile è chiamata “beneficio incospicuo”. Dei due tipi di beneficio quello incospicuo è incommensurabilmente più grande poiché finché continueremo a praticare il Buddismo non solo non lo perderemo mai ma nessuno potrà sottrarcelo e aggiungerà valore ad ogni aspetto della nostra vita.

Come posso fare a recitare Daimoku se penso che non sia efficace?
Pensare che la recitazione del Daimoku non sia efficace è generalmente da attribuire a un meccanismo di difesa. Siamo infatti spesso inconsapevolmente spaventati dalla possibilità di osservare profondamente dentro noi stessi dato che ciò che vedremo potrebbe non piacerci o potrebbe sfuggirci, usiamo il senso di “noia” come una barriera, per proteggere ciò che in realtà è una nostra debolezza. Tuttavia, secondo il Buddismo, ognuno di noi possiede lo stato di Buddità nel profondo del proprio essere, ma non può essere consapevole di questo stato meraviglioso se non sviluppa il desiderio coraggioso di guardare in fondo alla propria esistenza. Quando recitiamo per la soluzione di un nostro problema, o per la realizzazione di uno scopo personale, spesso acquisiamo la consapevolezza della particolare tendenza della nostra vita che ci porta appunto a manifestare quel dato problema o quel certo desiderio.

L’azione stessa di recitare Daimoku fa scaturire in noi speranza e coraggio, saggezza e compassione, sia nei nostri stessi confronti, sia rispetto a chi ci circonda. Aver fatto emergere la tendenza che ci fa creare quel dato problema esistenziale ci fa allo stesso tempo comprendere la forza ed i mezzi di cui disponiamo per utilizzare al meglio tale tendenza.
Se si trova noioso recitare Daimoku, ciò è probabilmente legato al fatto che non si ha ancora assaporato la gioia del processo di autoriforma, cambiamento, e crescita, nè la gioia dello stato vitale che emerge da tale processo.

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