UN INTRODUZIONE AL BUDDISMO

 

di Mike Butler                                       buddhateaching.gif (284939 byte)                                                                                Letture                     

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Premessa                                                                                                            

Questo breve saggio vuole essere una concisa introduzione al Buddismo. Viene spiegato come i buddisti percepiscono il mondo, i quattro insegnamenti fondamentali del Budda, la visione buddista del concetto di Io, la relazione tra l'Io e i suoi vari modi di rapportarsi al mondo, il sentiero buddista e la meta finale.


LE TRE CARATTERISTICHE DELL'ESISTENZA

Il Buddismo viene definito come una religione estremamente pragmatica. Non indulge in speculazioni metafisiche sulle cause prime; non ha una teologia o una divinità e non c'è deificazione del Budda. Il Buddismo guarda con autentica schiettezza alla nostra condizione di esseri umani, non ha nulla a che fare con il credere vero qualcosa perchè lo si desidera intensamente, nella maniera più assoluta. Tutto ciò che il Budda ha insegnato è basato sulla sua osservazione diretta delle cose così come sono. Tutto ciò che egli ha insegnato può essere verificato dalla nostra stessa sperimentazione su come vanno le cose.

Se guardiamo alla nostra esistenza in modo semplice e schietto, vedremo che tutto è contraddistinto da frustrazione e sofferenza. Questo è dovuto al fatto che cerchiamo di rafforzare la nostra relazione con il mondo al di fuori di noi, tramite la "solidificazione" delle nostre esperienze in un qualcosa di concreto. Per esempio, se ci capita di andare a pranzo con qualcuno che apprezziamo molto e la cosa va per il verso giusto, quando rientriamo a casa iniziamo subito a fantasticare su tutte le cose che potremmo fare con questa persona, ai posti in cui potremmo andare insieme, eccetera. Stiamo subendo il processo che ci porta a cercare di cementificare la nostra relazione. Magari, la volta successiva che incontriamo questa persona, lui/lei ha un terribile mal di testa e si comporta in maniera brusca con noi; noi ci sentiamo feriti, umiliati e tutti i nostri progetti volano fuori dalla finestra. Il problema è che il "mondo là fuori" è in mutamento costante, tutto è impermanente, ed è impossibile stabilire relazioni immutabili con qualsiasi cosa.

Se esaminiamo onestamente e attentamente il concetto di impermanenza, capiamo che è onnipervasiva: tutto è contrassegnato dal mutamento. Possiamo postulare un principio relativo ad una coscienza eterna o ad un io superiore, ma se osserviamo da vicino la nostra mente, capiamo che è fatta di processi ed eventi temporanei. Vediamo che il nostro io è, tanto per iniziare, immaginario e, nella migliore delle ipotesi, una speculazione. E' un idea che abbiamo inventato per rassicurarci, per creare un rapporto solido, ancora una volta. A causa di questo, ci sentiamo a disagio e ansiosi persino nei momenti più felici. E' solo quando riusciamo ad abbandonare completamente questo aggrapparci che siamo in grado di trovare sollievo dal nostro malessere.

Queste tre cose, il dolore, l'impermanenza e la convinzione dell'Io, sono conosciute come le tre caratteristiche dell'esistenza.


LE QUATTRO NOBILI VERITA'

Il primo insegnamento impartito dal Budda in seguito alla propria illuminazione fu sulle Quattro Nobili Verità. La prima è che la vita è dolorosa e frustrante. Infatti, se siamo onesti con noi stessi, ci sono delle volte in cui è francamente infelice. Oppure le cose non vanno male, al momento, ma se ci guardiamo intorno vediamo altri in condizioni assolutamente sconvolgenti: bambini che muoiono di fame, terrorismo, odio, guerre, intolleranza, persone torturate e ci assale la nausea quando pensiamo anche solo fortuitamente alle condizioni di vita nel mondo. Noi stessi in futuro invecchieremo, ci ammaleremo e moriremo. Non importa quanto ci sforziamo di evitare tutto ciò, un giorno moriremo comunque. Anche se ci imponiamo di non pensarci, ci sono cose che ce lo ricordano continuamente.

La seconda nobile verità è che la sofferenza ha una causa. Soffriamo perchè siamo costantemente in lotta per la sopravvivenza. Cerchiamo continuamente di provare la nostra esistenza. Possiamo anche essere estremamente umili e autodispregiativi, ma anche questo è un modo di definire sé stessi, di essere definiti dalla propria umiltà. Quanto più ci sforziamo di affermare noi stessi e le nostre relazioni, tanto più dolorosa diviene la nostra esperienza.

La terza nobile verità è che si può porre fine alla causa della sofferenza. La nostra lotta per sopravvivere e il nostro sforzo di provare la nostra esistenza e rendere immutabili le nostre relazioni non sono necessari. Noi e il mondo possiamo andare avanti tranquillamente senza tutti questi atteggiamenti superflui. Potremmo essere dei semplici, diretti e schietti esseri umani. Potremmo creare delle relazioni semplici con il nostro mondo, il nostro caffè, il nostro coniuge o gli amici. Questo si può fare se abbandoniamo le nostre aspettative su come le cose dovrebbero essere.

Questa è la quarta nobile verità: il modo, il sentiero, che conduce all'eliminazione della causa delle sofferenze. Il nodo centrale di questo sentiero è la meditazione. Qui meditazione è intesa come pratica della concentrazione-attenzione/consapevolezza, shamata/vipashyana in sanscrito. Si fissa l'attenzione sulle cose con cui siamo abituati a torturarci, si diviene concentrati nell'abbandonare le aspettative su come le cose dovrebbero essere e da questo emerge la consapevolezza di come le cose siano realmente. Si inizia a sviluppare la comprensione che le cose sono piuttosto semplici, nella realtà, e che riusciamo a cavarcela benissimo con noi stessi e con gli altri nel momento stesso in cui smettiamo di essere contorti e manipolativi.

I CINQUE SKANDHAS

La dottrina buddista dell'Io sembra confondere gli occidentali. Penso che questo sia dovuto a ciò che si intende per Io. L'Io buddista è un concetto piuttosto diverso dall'Io di Freud. L'Io buddista consiste in un insieme di eventi mentali classificati in cinque categorie chiamate skandhas, termine che viene tradotto imprecisamente come "mazzi" o "cumuli".

Se dovessimo prendere a prestito un'espressione occidentale, potremmo dire che "in principio" le cose andavano abbastanza bene. Ad un certo punto, in un qualche modo, c'è stata una perdita di fiducia nel modo in cui le cose stavano andando. Ci fu una sorta di panico primordiale che produsse confusione su quanto accadeva. Anzichè riconoscere questo stato di cose come una perdita di fiducia, si produsse un identificazione con il panico e la confusione stessi e iniziò la formazione dell'Io. Questo è conosciuto come il primo skandha, lo skandha della forma.

Dopo essersi identificato con la confusione, l'Io inizia ad esplorare le proprie reazioni relative al formarsi dell'esperienza. Se un esperienza ci piace, tentiamo di introiettarla, se non ci piace cerchiamo di eliminarla o distruggerla. Se ci lascia indifferenti la ignoriamo, semplicemente. Il modo in cui ci sentiamo rispetto ad una esperienza è chiamato skandha della forma; il modo in cui ci comportiamo rispetto a questo è chiamato skandha dell'impulso/percezione.

Lo stadio successivo consiste nel tentativo di identificare ed etichettare l'esperienza. se possiamo inserirla in una certa categoria, riusciamo a manipolarla più facilmente. A quel punto avremo un intero repertorio di espedienti da mettere in atto riguardo a quel tipo di esperienza. Questo è lo skandha del concetto.

Il passo finale della costruzione dell'Io viene chiamato lo skandha della consapevolezza. L'Io inizia a rimescolare continuamente pensieri ed emozioni e questo gli permette di autopercepirsi come qualcosa di solido e reale. Questo rimescolìo continuo è chiamato samsara, che significa letteralmente turbinìo, mulinello. Ciò che l'Io prova rispetto alla propria condizione ( lo skandha del sentire ) è ciò che determina quale dei sei regni dell'esistenza sceglierà per sé stesso.

I SEI REGNI

Se l'Io decide che la situazione è gradevole, inizia a macinare ogni tipo di mezzo per impossessarsene stabilmente. In noi nasce il bisogno inestinguibile di vivere quella situazione e bramiamo di soddisfare quel bisogno. Una volta soddisfatta, il fantasma di quella brama ci riporta indietro a guardarci intorno alla ricerca di qualcos'altro da consumare. Così entriamo nello schema classico di orientamento al consumo. Magari ordiniamo un nuovo software per il computer, per esempio, lo usiamo per un po' sinchè il gusto della novità non si esaurisce e poi ci guardiamo di nuovo intorno, cercando un altro software che abbia l'aura attraente di ciò che ancora non possediamo. Talvolta non abbiamo neppure ancora aperto il cellophane della confezione e siamo già in cerca del prossimo. Possedere il software ed usarlo non sembra importante quanto il fatto di desiderarlo, di aspettare con ansia di averlo. Quando l'occupazione principale è la brama, si parla del regno degli spiriti avidi. Non si riesce a trovare soddisfazione, come se si bevesse acqua salata per tentare di spegnere la sete.

Un altro regno è quello di animalità, detto anche avere la mente simile a quella di un animale. Qui la sicurezza viene cercata nel rendere completamente prevedibile ogni cosa. Compriamo solo stock di azioni blue chips, non corriamo mai rischi e non cerchiamo possibilità nuove. Ci spaventa anche solo il pensiero di possibili alternative e guardiamo storto chiunque proponga qualcosa di innovativo. Questo regno è caratterizzato dall'ignoranza. Indossiamo un paraocchi e guardiamo dritti davanti a noi, mai a destra o a sinistra.

Il regno dell'inferno è caratterizzato da una violenta aggressività. Costruiamo un muro di rabbia tra noi stessi e le nostre esperienze. Tutto ci irrita, persino la frase più innocente e innocua ci fa impazzire di rabbia. Il bruciare della nostra rabbia ci si ritorce contro e ci conduce ad una frenesia volta a sfuggire a questa tortura, il che si risolve in una lotta ancora più aspra e in un livore sempre maggiore. L'intera cosa si incrementa da sola tanto che alla fine non riusciamo più a capire se stiamo lottando contro gli altri o contro noi stessi. Siamo così presi a lottare che non troviamo alternative, non ci vengono neppure in mente.

Questi erano i tre regni inferiori ( i tre veleni, n.d.t.). Uno dei tre regni più alti è quello chiamato del dio geloso. questo sentiero dell'esistenza è caratterizzato da un'acuta paranoia, siamo sempre occupati a "fare". Tutto viene guardato da un punto di vista competitivo, siamo sempre impegnati a cercare di segnare punti a nostro favore e ad impedire che gli altri facciano lo stesso per sé. Se qualcuno ottiene un risultato speciale, diventiamo determinati a superarlo. Non ci fidiamo di nessuno; "sappiamo" che tutti stanno cercando di passarci avanti. Se qualcuno cerca di aiutarci, cerchiamo di capire a cosa mira, se non lo fa non vuole collaborare e ci ripromettiamo di pareggiare i conti. " Non arrabbiarti, prenditi la rivincita" è il nostro motto.

In un certo momento della nostra vita possiamo conoscere la spiritualità. Potremmo venire a sapere che esistono tecniche di meditazione, relative ad alcune religioni orientali o a religioni occidentali di stampo mistico, che possono rasserenare la nostra mente e renderci partecipi dell'armonia universale. Così, decidiamo di iniziare a meditare e a praticare determinati rituali, ritrovandoci assorti in stati mentali di beatitudine e di appartenenza allo spazio infinito. Tutto appare splendente di luce e d'amore, ci sentiamo come creature divine. Diventiamo orgogliosi di questi poteri superiori relativi alla meditazione. Potremmo persino indugiare indefinitamente in questo regno dello spazio infinito, dove è difficile che i pensieri sorgano a turbarci, ignorando tutto ciò che non rafforza il nostro stato di benessere. Abbiamo creato il regno degli déi, il più elevato dei sei regni dell'esistenza. Il problema è che l'abbiamo creato noi stessi. Iniziamo a rilassarci e a non sentire più il bisogno di coltivare il nostro stato di esaltazione. Magari ci assale qualche piccolo dubbio. Ce l'abbiamo veramente fatta? In principio siamo ancora in grado di glissare sulla domanda, ma alla fine il dubbio si presenta sempre più spesso e ricominciamo a lottare per riconquistare le nostre sicurezze superiori. Non appena riprendiamo questa lotta, ricadiamo negli stati inferiori e ripetiamo il processo più e più volte: dal regno degli dei a quello del dio geloso, per passare al regno di animalità e poi a quello degli spiriti avidi e a quello infernale. Ad un certo punto, iniziamo a chiederci se esiste un alternativa al nostro modo abituale di rapportarci al mondo. Ed entriamo nel mondo di umanità.

Il mondo di umanità è l'unico da cui si può partire per liberarsi dalla sofferenza dei sei stati di esistenza. Il regno di umanità è caratterizzato dal dubbio, dallo spirito di ricerca e dal desiderio di qualcosa di migliore. In questo stato non siamo schiavi delle preoccupazioni pressanti che caratterizzano gli altri stati di esistenza. Iniziamo a chiederci se sia possibile relazionarci con il mondo come semplici e dignitosi esseri umani.

L'OTTUPLICE SENTIERO

La via per liberarsi da questi stati esistenziali infelici, come insegna il Buddha, consiste in otto tappe ed è conosciuta come "ottuplice sentiero". Il primo punto importante è la retta visione, il giusto modo di vedere il mondo. Si ha una visione distorta quando si impongono le proprie aspettative agli eventi; aspettative su come si spera vadano le cose oppure su come si tema che vadano. La retta visione consente di vedere le cose con semplicità, come sono veramente. E' una disposizione d'animo aperta e accomodante. La speranza e la paura vengono abbandonate, si prova la gioia di un approccio schietto e semplice all'esistenza.

Il secondo punto del sentiero è la retta intenzione e discende dalla retta visione. Se si è in grado di abbandonare le proprie aspettative, le proprie paure e le proprie speranze, non si ha più bisogno di essere manipolativi. Non si ha più la necessità di forzare le situazioni nella propria preconcetta nozione di come queste dovrebbero svolgersi. Si interagisce con ciò che ci si presenta, la propria intenzione è pura.

Il terzo aspetto del sentiero è il retto parlare. Una volta che l'intenzione è pura, non si prova più imbarazzo nel parlare. Dal momento che non si sta cercando di manipolare le persone, non si è incerti sul cosa dire e neppure si ha necessità di bluffare sulle nostre intenzioni parlando con una sorta di falsa sicurezza. Diciamo ciò che va detto, in maniera semplice e genuina.

Il quarto punto, retta disciplina, comprende un tipo di rinuncia. E' necessario abbandonare la nostra tendenza verso le risoluzioni complicate. Si pratica la semplicità, si ha un rapporto semplice e schietto con il cibo, il lavoro, la casa e la famiglia. Si abbandonano tutte le complicazioni inutili e frivole con cui generalmente tentiamo di offuscare le nostre relazioni.

Il retto modo di sostentarsi è la quinta tappa del sentiero. Guadagnarsi da vivere è semplicemente corretto e naturale. Spesso molti di noi non amano il proprio lavoro, non vedono l'ora di tornare a casa e lesinano di malavoglia il lasso di tempo che il lavoro porta loro via dal godimento dell'esistenza. Magari vorrebbero un lavoro più affascinante. Pensano che lavorare in una fabbrica o in un ufficio non sia in sintonia con l'immagine di sé che vorrebbero proiettare sugli altri. La verità è che si dovrebbe essere contenti del proprio lavoro, qualunque esso sia. Si dovrebbe avere con il lavoro un rapporto semplice e bisognerebbe eseguirlo correttamente fin nei dettagli.

Il settimo aspetto del sentiero è il retto sforzo. Lo sforzo sbagliato consiste nella lotta. Spesso ci si avvicina ad una disciplina spirituale pensando di dover sopraffare i propri lati negativi e incentivare quelli positivi. Ci si rinchiude in una battaglia con sé stessi, cercando di annullare persino le tendenze negative più sottili. Il retto sforzo non ha niente a che fare con la lotta. Quando si comprende come stanno le cose, ci si lavora sopra, con dolcezza e senza alcun tipo di aggressività, in ogni caso.

La retta consapevolezza, il settimo passo, comporta chiarezza e precisione. Si è consapevoli dei più fini dettagli della propria esperienza. Diventiamo consapevoli del modo in cui parliamo, del modo in cui svolgiamo il nostro lavoro, della nostra postura, della nostra disposizione d'animo verso amici e parenti, in ogni particolare.

La retta concentrazione, o assorbimento, è l'ottavo punto del sentiero. Generalmente siamo assorti nell'inconsapevolezza. Le nostre menti sono completamente preda di ogni genere di distrazione e di speculazione. retta concentrazione significa essere completamente assorti nell'"adesso", nelle cose come esse sono. Questo può avvenire solamente se abbiamo acquisito un qualche tipo di disciplina a farlo, come nella meditazione seduta. Si può persino dire che senza la disciplina della meditazione seduta è impossibile percorrere l'ottuplice sentiero. La meditazione seduta apre un varco nella nostra inconsapevolezza, fornendoci uno spazio, un divario tra le nostre preoccupazioni su noi stessi.


LA META

Molti avranno sentito parlare del Nirvana come di una sorta di equivalente orientale del paradiso. In realtà, Nirvana significa semplicemente "cessazione". E' la cessazione della passione, dell'aggressività e dell'ignoranza; la cessazione della lotta per provare la nostra esistenza nel mondo, per sopravvivere. Dopo tutto, non è necessario lottare per sopravvivere. Siamo già sopravvissuti e sopravviviamo tuttora; la lotta è solo una complicazione extra che abbiamo aggiunto alle nostre vite perchè abbiamo perso la fiducia nel modo in cui vanno le cose. Non avremo più bisogno di manipolare le cose per farle diventare, da ciò che sono, quello che vorremmo che fossero.